Middle East Film Festival, quando il cinema racconta il mondo - Blog Fondamenta
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Middle East Film Festival, quando il cinema racconta il mondo

Middle East Film Festival, quando il cinema racconta il mondo

al 9 al 14 aprile a Firenze la rassegna cinematografica dedicata al meglio della produzione recente per il grande schermo degli autori mediorientali. Dalla Siria all’Iraq, passando per Israele

Non sono niente, le guerre, quando non diventano una storia. Tre anni di massacri in Siria, ed è come se non avessero voce. Per la distratta coscienza occidentale, è una guerra sfilacciata perché (come quella di Bosnia e a differenza dei conflitti in Afghanistan e in Iraq) priva di una struttura narrativa.

Come antidoto, il Middle East Now Festival , a Firenze dal 9 al 14 aprile, presenta in anteprima italiana “Return to Homs” ( trailer ) del siriano Talal Derki, che ha vinto il World Cinema Grand Jury Prize all’ultimo Sundance Film Festival. Racconta la guerra che devasta il paese seguendo fedelmente le vicende e i percorsi di vita di un gruppo di giovani rivoluzionari e di due di loro in particolare: Basset, 19 anni, portiere della nazionale e star del football, e il giovane Ossama, giornalista, media activist, pacifista in un paese che conosce ormai solo il crepitìo dei kalashnikov. Attraverso la loro storia restituisce carne e nervi e quotidianità a un dramma che la nostra sensibilità ha finora derubricato tra “le cose che succedono in quella parte di mondo”.

Sabato 12, la sera della proiezione, saranno in sala a raccontare e discutere con il pubblico il regista Talal Derki e Orwa Nyrabia, che del film è il produttore. Regista indipendente lui stesso, ma anche attore e sceneggiatore, Nyrabia ha fondato il Festival dei documentari di Damasco. Attivista politico, nell’agosto 2012 è stato arrestato dalla polizia del regime e rilasciato dopo un mese e mezzo di galera solo perché è immediatamente scattata una clamorosa mobilitazione di registi e attori di tutto il mondo, Martin Scorsese in testa. Visto il film, proprio Scorsese, con il suo World Cinema Project Initiative in partnership con la Cineteca di Bologna, ha deciso un riconoscimento a dir poco inedito: «l’impegno a conservare e restaurare, se se ne presenterà la necessità, lo straordinario documentario siriano “Return to Homs”». A memoria, è il primo film che, appena uscito, ha già il restauro garantito per i decenni a venire.

La “zona grigia” nel conflitto israelo-palestinese, fra tradimenti e doppiogioco, è ciò che scandaglia “Omar” ( trailer ) di Hany Abu-Assad, anteprima italiana: il fim che per poco non ha strappato a “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino l’Oscar come miglior film straniero. A Firenze ci sarà lui, Abu-Assad, a vedere e discutere con il pubblico i suoi sei lavori più importanti, uno al giorno: è la prima retrospettiva mondiale dei suoi lavori, a cominciare dallo sconvolgente “Paradise now”, del 2005, sugli ultimi giorni di due ragazzini di Nablus reclutati da terroristi per un attentato suicida. “Youth” ( trailer ), thriller mozzafiato dell’israeliano Tom Shoval, anche lui a Firenze per l’anteprima, indaga invece solo di sbieco l’endemico conflitto dalla parte degli israeliani, con la storia di due gemelli poveri dei sobborghi di Tel Aviv alle prese con un improbabile rapimento proprio nel giorno di Shabbat, quando nessuno risponde al telefono…

Qualche bella sorpresa la riserva il cinema irakeno. Di un’ampia sezione, citiamo solo “My sweet Pepperland” ( trailer ) del curdo Hiner Saleem, rientrato nella sua terra dopo la caduta di Saddam. E’ una favola stile western con storia d’amore, ambientata oggi nel Kurdistan, in uno sperduto villaggio ai confini con l’Iran e la Turchia, infestato da briganti, crocevia di ogni traffico illecito, armi, benzina, alcolici, medicine, persino il passato di pomodoro. Qui diventa capo della polizia Baran (l’attore curdo-tedesco Korkmaz Arslan), eroe della guerra contro Saddam, insomma lo sceriffo contro i cattivi che spadroneggiano. E naturalmente s’innamora di Govend (la bellissima attrice iraniana Golshifteh Farhani), la maestrina appena arrivata nel villaggio contro la volontà dei suoi dodici tradizionalisti fratelli. Quanto allo stile e al ritmo, rimandiamo a un diffuso detto popolare curdo: «Dio creò dieci Curdi, poi uno ancora perché li facesse ridere».

Ci sono le guerre, certo, ma c’è soprattutto il quotidiano. Di società sbalzate dall’improvvisa accelerazione dei moti di tre anni fa al rapido e violento ritorno al passato che li ha seguiti. «La forza di questi film non è tanto la sperimentazione: sono le storie», spiegano Lisa ChiariRoberto Ruta, fondatori e direttori artistici del festival con la loro associazione Map of Creation e il sostegno di enti, organizzazioni e istituzioni; «il fermento culturale del Middle East nasce dall’urgenza di raccontare la loro realtà, la spinta a cambiare tra enormi resistenze, le tensioni e gli strappi che tagliano le esistenze degli individui e delle famiglie. Questi registi guardano il loro mondo e lo restituiscono trasfigurato in narrazioni di vite, emozioni, sentimenti, disastri e piccole gioie universali. Con un vigore che, se possiamo dirlo, difetta forse al nostro cinema».

Perché è fallita la “primavera araba” è l’interrogativo cui tenta di rispondere “Rags & Tatters“, l’ultimo film dell’egiziano Ahmad Abdalla: attraverso un incrocio di storie personali e scelte che i protagonisti sono chiamati a compiere. “Bloody beans” ( trailer ), dell’algerinaNarimane Mari riscrive il passato del suo paese e la lotta per l’indipendenza fine anni Cinquanta così come viene messa in scena, sulla spiaggia di Algeri, da un gruppo di bambini. Dal Marocco, l’anteprima del pluripremiato documentario “Camera/Woman” diKarima Zoubir (presente al festival), vita della giovane divorziata Khadija di professione cameraman di matrimoni a Casablanca; e la commedia agrodolce “Rock the Casbah” (trailer ) di Laïla Marrakchi: pretesto non nuovissimo, una famiglia che si ritrova a un funerale e per tre giorni ricuce i fili di rapporti e ricordi, ma una grande acutezza d’indagine, introspezione e ironia, nonché un cast d’eccezione, Hiam Abbas, Nadine Labaki e l’ottuagenario Omar Sharif. Dall’Afghanistan, “No burqas behind the bars” ( trailer ) diNima Sarvestani: è un documentario, e il quotidiano che qui le donne raccontano senza filtri è quello, tragico, di un gruppo di detenute in una prigione. Rinchiuse spesso per colpe che sono tali solo in una cultura e per una legislazione devastate dall’integralismo islamico. Dei sogni e delle aspirazioni di una ragazzina iraniana che vive in una zona rurale e vuole diventare astronoma e astronauta, e delle difficoltà che incontra coi genitori e l’ambiente in cui vive, narra “Sepideh” ( trailer ) della regista Berit Madsen: la storia è vera, la protagonista esiste e riesce davvero a incontrare Anoushe Ansari, l’ingegnere e imprenditrice iraniana naturalizzata statunitense che nel 2006 prese parte, come turista spaziale, alla missione della Sojuz Tma-9. I sogni si avverano, talvolta.

Venerdì 11, ore 22 all’Auditorium Flog, prezzi popolarissimi 10-12 euro, uno degli eventi clou. Non una proiezione, ma il concerto dei Mashrou’ Leila: per capirci, sono la band libanese simbolo della rivolta dei giovani laici e libertari, il loro leader è un attivista gay, le loro canzoni contro l’establishment sono diventate l’inno di quella “primavera araba” che oggi loro stessi, mestamente, definiscono finita, schiacciata dall’integralismo e dalla repressione. Su di loro, un approfondimento sul prossimo numero dell’Espresso, in edicola venerdì 4 aprile.

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