Il Calapranzi
Cimentarsi con un’opera di Harold Pinter, famoso drammaturgo inglese, non è mai un’impresa semplice. Il rischio è quello di semplificare troppo, lasciare da parte una parola o una frase e compromettere il risultato finale. Così non è stato però nel caso della messa in scena de “Il Calapranzi” da parte dei due attori e registi Simone Tromboni e Pierpaolo Laconi. Lo spettacolo, andato in scena nei giorni 27-28-29 Aprile presso il Teatro Elettra, riporta in modo fedele gli avvenimenti narrati nel testo: uno scantinato, due uomini e un calapranzi.
Nulla di più, ma non serve altro! La scenografia è semplice, ma curata nei dettagli e accompagnata da una recitazione mai esagerata e sempre equilibrata. Ben – Pierpaolo Laconi – legge un giornale mille volte, lo sfoglia meccanicamente e in modo freddo. Gus – Simone Tromboni – pensa, riflette a voce alta, racconta i suoi timori e l’ansia per quell’attesa interminabile. Sono due sicari, ma si capisce subito chi dei due ha un animo diverso e si pone persino dei dubbi sull’eticità del mestiere.
Un forte e un debole, un cinico e un sensibile; sono due personalità diverse accomunate dall’attesa. Gus pone continuamente delle domande per ingannare il tempo, ma nessuna ottiene una risposta, vorrebbe un tè perché senza non riesce a lavorare, gioisce per dei fiammiferi e subito dopo viene redarguito a non perderli. Ben invece rimane impassibile, turbato da qualcosa, ma al contempo snervato sia dall’attesa, sia dalle domande insistenti del collega.
Tiene la scena ed evita che il tutto scivoli nella commedia pura e semplice aggiungendo il tocco noir e misterioso che l’opera ha in sé. Ciò che viene fuori dai dialoghi tra i due, verte all’irrazionale e all’illogico, arrivando quasi allo scontro. Il ritmo è lento, ma crescente. Giro di boa e cambio di interpretazione si hanno quando Gus, finalmente, posa il giornale: da questo momento l’ansia cresce.
Non si capisce chi deve arrivare, quando, perché. La tensione si spezza grazie all’empatia che il personaggio di Gus suscita negli spettatori, al suo modo un po’ ingenuo e passivo di affrontare gli avvenimenti, ma anche grazie all’arrivo del famigerato calapranzi, qui rappresentato da un carrellino che sbuca improvvisamente in scena e, altrettanto rapidamente, sparisce.
Le ordinazioni che arrivano sono improbabili, esattamente come la situazione che matura e non si sa a che punto possa giungere. Poi, si nota l’interfono, a fondo palco, e da lì la situazione cambia vertiginosamente. Non ci sono più momenti di risate, ma fiato sospeso. Si capisce che qualcosa non va quando Ben ordina a Gus di ripassare le azioni da compiere per portare a termine la missione e omette, volutamente, la parte in cui anche Gus deve estrarre la pistola per sparare alla vittima.
Lo spettacolo finisce nel buio e nel silenzio rotto solo dal rumore di uno sparo indirizzato a Gus, ma che può anche rappresentare la morte della parte più debole e interiore di Ben; tutte quelle paure, fobie e angosce che ha dentro di sé, ma non ha mai tirato fuori.